Nuovi strumenti per la tracciabilità delle filiere agro-alimentari italiane di C. Montemurro

Nuovi strumenti per la tracciabilità delle filiere agro-alimentari italiane di C. Montemurro

Nella campagna 2017 l’Italia è risultata il primo produttore di uva in Europa, con più di 7 milioni di tonnellate, e il primo produttore di vino, con più 4 milioni di tonnellate (ultimi dati aggiornati al 2014). Per quanto riguarda le produzioni di olio di oliva, l’Italia è al secondo posto dietro la Spagna, con più di 200.000 tonnellate prodotte. (http://faostat.fao.org/)

 Per la produzione di pasta, nel 2017 l’Italia ha prodotto il 67% della produzione totale europea in termini sia di volume che di valore (https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/EDN-20181025-1?inheritRedirect=true).

Questi numeri accanto a quelli di altre eccellenze nazionali fanno ben comprendere il reale valore del Made in Italy e l’esigenza di tutelarlo con strumenti innovativi.

Molte delle produzioni che caratterizzano il Made in Italy sono legate all’utilizzo di specifiche varietà, in molti casi autoctone, che caratterizzano un territorio e la sua storia agricola.

 Identificare e caratterizzare il materiale vegetale, è un requisito fondamentale che tutela il Made in Italy e rafforza le produzioni di qualità.

Oggi effettuare una caratterizzazione varietale della materia prima è relativamente semplice e affidabile, soprattutto se si integrano le tecniche molecolari basate sullo studio del DNA, la situazione si complica nel tracciare il prodotto lungo la filiera della trasformazione partendo dai diversi prodotti finiti (vino, olio, pasta).

 La rintracciabilità di filiera può essere molto utile ai produttori sia piccoli che grandi per valorizzare ulteriormente il loro prodotto ed escludere conferimenti non in linea da quanto previsto di disciplinari di prodotti a marchio (consorzi per la tutela del DOP), o da quanto prevedono le regole di etichettatura (olio vergine di oliva italiano, comunitario ed extracomunitario, provenienza di coltivazione del grano duro usato per la pasta) evitando così di incappare in problemi legislativi. Ma come si può conoscere la composizione varietale di un prodotto trasformato? Come si può capire cosa c’è all’interno di quella bottiglia, pacco di pasta, scatola di biscotti?

Gli studi inerenti questa tematica sono numerosi e si basano in larga parte sull’applicazione di tecniche chimiche e biochimiche, come l’utilizzo della NMR (Risonanza Magnetica Nucleare), l’analisi dei composti fenolici, ecc. In molti casi i risultati non sono univoci e spesso risultano affidabili solo se si dispone di dati relativi a diversi ambienti geografici e diversi anni di coltivazione.

Una valida alternativa è fornita dall’utilizzo delle tecniche basate sull’impiego di marcatori molecolari che studiano specifici punti del DNA e sono in grado di realizzare una carta d’identità del campione in esame differenziandolo da altri.

 Il marcatore che per eccellenza si presta a studi di questo tipo è il marcatore microsatellite, definito con la sigla SSR, dall’inglese Simple Sequence Repeats (Figura 1).

Quando si vuole allestire un metodo di tracciabilità e rintracciabilità su materie prime complesse è indispensabile sviluppare un metodo analitico che si possa applicare su una vasta gamma di prodotti commerciali. La fase cruciale per la tracciabilità basata su metodi molecolari è quella di avere un valido protocollo di estrazione di DNA di buona qualità per l’applicazione nelle analisi successive.

 Nel caso di molti prodotti trasformati, il materiale di partenza è ricco di potenti inibitori enzimatici, come polifenoli, polisaccaridi, proteine, che possono inficiare la buona riuscita delle analisi. Una volta ottimizzato il metodo di estrazione del DNA, si può procedere ad identificare un robusto protocollo di analisi dei marcatori SSR.

L’analisi di questi marcatori prevede l’utilizzo di una macchina chiamata termociclatore e di una tecnica chiamata PCR (Polymerase Chain Reaction), che sfrutta l’utilizzo di un enzima capace di “amplificare” milioni di volte un frammento di DNA di nostro interesse (amplicone).

 Una volta amplificato, questo prodotto di reazione deve essere visualizzato dall’operatore (Figura 2) con strumentazioni e modalità che offrono un grado di complessità e risoluzione differenti. Il terzo passaggio fondamentale per l’applicazione della tracciabilità molecolare è quello di standardizzare un protocollo di analisi al fine di offrire un servizio alle aziende. Per questo le analisi devono risultare affidabili, riproducibili e realizzabili in tempi brevi e prevedere costi sostenibili anche da piccole realtà locali.

In conclusione, le tecniche molecolari basate sull’utilizzo dei marcatori SSR, avendo il grande vantaggio di essere altamente riproducibili, in larga parte automatizzabili e indipendenti dai fattori ambientali, possono essere un valido strumento nella tracciabilità e certificazione dei prodotti agro-alimentari.

Questo consentirà di tutelare e valorizzare maggiormente il prodotto “Made in Italy” e fornirà una garanzia ulteriore sia per il produttore che per il consumatore.

Legende

Figura 1: Rappresentazione grafica del funzionamento dei marcatori molecolari SSR.

Figura 2: Tecniche di visualizzazione dei marcatori microsatelliti. In alto è riportato un tipico profilo visualizzato su gel di agarosio, in basso il prodotto finale di una analisi su elettroforesi capillare.

Di.S.S.P.A. (dip. di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti), Università di Bari

via Amendola 165 A 70125 Bari

cinzia.montemurro@uniba.it

Lascia una Risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.